PERUGIA – È partito con il piede giusto il percorso del nuovo album concepito dal pianista assisano Manuel Magrini, Dreams, che il 6 agosto dello scorso anno aveva regalato un’anteprima al prestigioso Ronnie Scott’s Jazz Club di Londra (serata condivisa con l’acclamato Jason Rebello, ndr). Non è certo stata d’aiuto la crisi pandemica che ne ha rallentato la pubblicazione ufficiale, ma a fine ottobre 2020 ha finalmente visto la luce questo lavoro in trio, con Magrini accompagnato da Francesco Ponticelli al contrabbasso e da Bernardo Guerra alla batteria. Con la produzione di Roberto Lioli e Vittorio Bartoli presso il LoaDistrict di Roma, Dreams è uscito per la Encore Music, etichetta dello stesso Lioli (già storico fonico di Stefano Bollani) che aveva creduto nell’artista umbro anche per il suo debutto come solista. Un disco caleidoscopico dove s’incontrano atmosfere decisamente lontane tra loro, nove tracce immaginate come un movimento tra sogno e viaggio. Dreams esalta la vena creativa del giovane pianista e in qualche modo lo racconta, dato che per lui quelli appena trascorsi sono stati anni di concerti in giro per il mondo, esibendosi su palcoscenici importanti e ricevendo apprezzamenti lusinghieri a livello internazionale.
Manuel Magrini, quali sono le cose che sono maggiormente cambiate in lei, sia artisticamente che umanamente, dal suo disco d’esordio di quattro anni?
Dal punto di vista artistico è avvenuta una grande maturazione, anche grazie ai forti stimoli che ho ricevuto. Dopo l’uscita del primo disco ho iniziato a suonare tantissimo la mia musica e tra l’altro in piano solo…
Cosa che la spaventava?
Un tempo era la cosa che meno avrei voluto fare! Invece si è dimostrata una terapia d’urto che mi ha aiutato.
Anche l’impatto con il pubblico è cambiato?
Sì, il pubblico mi ha aiutato tantissimo, mi ha dato la sicurezza di espormi. Poi girare mi ha spinto a scoprire alcuni generi musicali nuovi, soprattutto musica afro-americana e afro-cubana, cosa che ha cambiato decisamente la mia percezione del ritmo.
Sicuramente si percepisce nel disco. E’ un punto di arrivo?
No, è una via di mezzo. Il primo disco dava più importante alla frase, come è normale nella cultura europea. Ora invece la mia piramide dei valori è sconvolta e do al ritmo un peso ben diverso. Questo a partire dal primo viaggio a New York nel 2015.
Anche umanamente si sente maturato?
Direi che sento, con più sicurezza rispetto a prima, che ho qualcosa da raccontare, La sensazione del “giovane talento” che “farà” è scomparsa… ora c’è la responsabilità, una pressione che sento come positiva.
Cosa le è piaciuto maggiormente della prima esperienza in piano solo e cosa invece ha apprezzato di questa in trio?
Della prima la quasi totale mancanza di pianificazione di quel che avrei suonato. Il titolo Unexpected rivela che nonostante avessi preparato delle cose, quando ho finito di registrarle c’era ancora tempo e… lì ho improvvisato i brani che sono quelli che apprezzo maggiormente del disco. In questo secondo invece c’era una relazione diversa con la musica. Qui fragilità e insicurezze, soprattutto con accanto due musicisti come Francesco e Bernardo, si sono ridotti notevolmente.
Cosa le piace del suonare in giro per il mondo?
In generale ciò che mi piace di più e che dà senso a quello che faccio è entrare in contatto con persone e sensibilità diverse. Non per forza devo essere lontano, avviene anche quando suono a Perugia. Nel cuore mi è rimasto il primo viaggio a Manhattan, che certamente mi ha cambiato; poi anche la residenza artistica di un mese a Città del Messico, fatta grazie all’Associazione dei Musicisti italiani di Jazz.
Tra le esperienze che ricorda con maggior emozione?
Proprio in Messico, dove ho partecipato a varie masterclass e concerti, alla fine di un’esibizione un ragazzo di 13 anni venne a dirmi quanto anche lui avrebbe voluto esprimersi e poter girare attraverso la sua musica. Me lo disse piangendo, perché lì viveva molto vicino alla soglia di povertà. Poi ho splendidi ricordi della prima tournée in Malesia e Indonesia, con le persone che dimostravano di aver davvero sete di musica nuova. Lì ascoltano con maggior curiosità rispetto a chi l’arte e la bellezza l’ha costantemente sotto casa.
Quando si esibisce in luoghi come quelli si sente apprezzato diversamente rispetto a quando suona qui?
Nei luoghi in cui sono già conosciuto, ad esempio a Cannara dove sono nato e cresciuto, sento l’impatto emotivo particolare ed è una sorta di ricarica naturale. Però in Umbria a volte sento che arrivano un po’ di complimenti in meno rispetto al solito, probabilmente perché il pubblico mi ha sentito tante volte e gli sembra una cosa meno interessante.
C’è un sogno nel cassetto?
Vorrei andare in Giappone e in Australia, due luoghi che mi hanno sempre incuriosito e mi piacerebbe tanto suonarci. Anche migliorare dal punto di vista della composizione è un altro piccolo sogno nel cassetto.