American Songs

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L’idea di affrontare questo repertorio è nata soprattutto dall’ascolto delle songs di Charles Ives, tratte dalla raccolta “114 songs”, in cui l’autore condensa in maniera mirabile la sua visione della musica e la sua arte compositiva.
Ives è stata una figura particolarmente originale nella storia della musica americana, e non solo.
Assiduo sperimentatore e innovatore, si creò un linguaggio personale combinando le categorie estetiche della tradizione tardoromantica europea con la variopinta realtà fonica, rurale e urbana dell’America.
Nelle sue composizioni oscilla tra marce militari, melodie popolari, inni, politonalità, poliritmia, dissonanze stridenti, anticipando numerose tecniche compositive ed espressive dell’avanguardia storica e contemporanea, americana ed europea, senza porne una in particolare a fondamento della sua sintassi musicle.
Le due songs paradigmatiche della poetica di Ives possiamo identificarle in "The Cage" e in "At the River"
"The Cage" è il brano più breve di Ives e probabilmente il più enigmatico.
Non c'è un metro indicato, il compositore costruisce una linea vocale in ottavi su frammenti di scala esatonale, che imita l'incedere del leopardo, mentre il pianoforte si muove autonomamente in accordi di quarte giuste(la gabbia) Un'ultima nota staccata nella parte vocale rimane sospesa alla fine della canzone. "La vita è qualcosa di simile?", riflette Ives.
In "At the River" , un tradizionale inno cristiano scritto da Robert Lowry, Ives introduce degli elementi che ne destabilizzano la semplicità melodica: accordi alterati, ritmi inaspettati, e un'esitante
cadenza finale che sembra mettere in discussione l'invito implicito nel testo.
A suggello della lunga postfazione alla pubblicazione di "114 songs" ,nell'ultimo paragrafo, Ives scrive:
"Una canzone ha qualche diritto, come gli altri cittadini comuni... Se ha voglia di calciare un bidone di cenere, il castello di un poeta o la legge prosodica, la fermerete? Deve essere sempre una triade educata... un nastro da abbinare alla voce? Non dovrebbe essere libera a volte dal dominio del torace, del diaframma, dell'orecchio e di altri punti di interesse?... Non dovrebbe avere la possibilità di cantare a se stessa, se può cantare?...
Se le venisse voglia di volare dove gli umani non possono volare, di cantare ciò che non può essere cantato... chi la fermerebbe? “
Le songs di Aaron Copland sono tratte dalla raccolta “Twelve Poems of Emily Dickinson”, e sono state composte tra il marzo del 1949 e il marzo del 1950.
In “Heart, we will forget him” il lirismo scarno e dolente della Dickinson viene sottolineato da Copland con echi vagamente mahleriani
Samuel Barber e Ned Rorem hanno dedicato alla musica vocale una parte significativa del loro lavoro.
Le songs di Barber provengono da tre raccolte diverse, i cui testi spaziano dall’ anonimo monaco irlandese vissuto tra l’VIII e il IX sec di “Sea-Snatch” a W.B. Yeats di “The Secrets of the Old”; Barber ne segue rigorosamente la struttura innestando una lirica linea melodica su una costruzione metrica irregolare.
L’andamento un pò nostalgico, che ricorda la valse-musette, di “Early in the morning” unito all’eleganza stilistica e alla raffinatezza armonica, elementi che caratterizzano le oltre 500 songs scritte da Rorem, testimoniano la frequentazione del compositore, durante un lungo soggiorno parigino, con i membri del gruppo Le Six, in particolare con Francis Poulenc.
Questo piccolo excursus nella storia della song americana si chiude con Fred Hersch, passando per l’Ellington dei Sacred Concert.
L’interesse di Hersch verso il testo poetico è documentato in un suo album, “Leaves of Grass” , dedicato all’opera di Walt Whitman.
I tre brani di Hersch provengono dal disco “Songs & Lullabies”, nel quale Norma Winstone scrive 11 liriche su altrettanti brani del pianista.

Le songs presenti in questo disco hanno tutte, ad eccezione di “Is God a Three-Letter Word for Love?” di Duke Ellington, una caratteristica comune ovvero quella di essere state composte o eseguite, nella versione originale, per pianoforte e voce.
Il materiale musicale è stato trattato sotto vari aspetti, in alcuni casi facendo un lavoro di trascrizione e adattamento, in altri di arrangiamento, aggiungendo delle sezioni di improvvisazione sia libere che su una struttura armonica.
L’utilizzo delle diverse ance ha permesso di lavorare sulla varietà dei timbri, cercando di dare una nuova veste alle partiture, mentre Valentina Fin, i cui interessi musicali spaziano dal canto barocco alla musica sperimentale, sfruttando appieno la duttilità e lo splendido timbro della sua voce, ha dato una interessante lettura del testo musicale che si discosta dalla consueta vocalità prettamente lirica.

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